Salario minimo in Europa

28.02.2017 – I sistemi di minimum wage nazionali sono da tempo oggetto di attenzione da parte dell’Unione europea che torna a discutere del tentativo di disciplinare a livello comunitario un istituto considerato strategico sia sul piano del contrasto alla crisi sia nell’ambito dell’annunciata costituzione del Pilastro europeo dei diritti sociali. Di questo si è discusso presso l’Inapp alla presenza di esperti e parti sociali nel corso del seminario organizzato in collaborazione con il Giornale di Diritto del Lavoro e delle Relazioni Industriali e intitolato “Governance economica e salario minimo nell’Unione europea: quali prospettive per l’Italia?”. Ad aprire i lavori della giornata ha provveduto Stefano Sacchi Presidente dell’Istituto per l’analisi delle Politiche Pubbliche già Isfol che ha ribadito “l’importanza di creare momenti di dibattito su temi d’attualità come questo fornendo ai decisori politici, come fa l’Inapp, dati e analisi utili ad interpretare il presente per agire nel futuro”.

Nel corso della discussione sono intervenuti Luisa Corazza del Giornale di Diritto del lavoro e delle Relazioni Industriali, Alessandro Bellavista dell’Università di Palermo, Carlo Dell’Aringa economista e depuatato, Salvo Leonardi della Fondazione Di Vittorio, e Manuel Marocco ricercatore Inapp esperto di diritto del lavoro che ha proposto nella sua relazione un’analisi comparativa sul tema del salario minimo in Europa. Nel suo intervento Marocco ha mostrato come il minimuw wage (MW) sia ormai uno strumento largamente utilizzato dagli Stati membri anche se con delle notevoli variazioni a livello nazionale legate al campo di applicazione, alla fonte di regolazione, alla procedura di determinazione e soprattutto al valore nominale dello stesso. I dati a questo proposito disegnano una mappa secondo la quale il MW più alto espresso da alcuni Paesi supera di 8,5 volte il valore di quello più basso, che in termini di potere d’acquisto si traduce in un rapporto di 1 a 3,3. Riguardo il coinvolgimento dei sindacati nella definizione del salario minimo, secondo l’analisi di Marocco si va dal livello più basso nei Paesi in cui lo strumento è stabilito dal Governo senza obblighi specifici di negoziazione ad un massimo lì dove non esiste salario minimo legale, nel mezzo si trovano gli Stati “ibridi” ossia con un MW fissato dalla contrattazione collettiva. La relazione del ricercatore Inapp inoltre ha affrontato il tema della nuova governance europea in tema di minimum wage mostrando come di fatto l’Ue pur non avendo ancora stabilito un compromesso per disciplinare uniformemente l’istituto sia già intervenuta sia attraverso i Memoranda d’Intesa (Muo) che le Raccomandazioni specifiche paese (Csr) presso diversi Stati membri per condizionare le politiche rivolte al salario minimo. Infine Marocco ha formulato un passaggio sul legame tra regolamentazione del MW e il cosiddetto Pilastro dei diritti sociali europei, l’iniziativa lanciata da Junker allo scopo di promuovere l’equità dei mercati del lavoro e dei sistemi di protezione sociale negli Stati membri. All’interno di questa cornice la fissazione di un salario minimo potrebbe produrre effetti positivi da una parte limitando la povertà e il social dumping e dall’altra promuovendo lo sviluppo economico.

Di questo si è discusso anche nella seconda parte del convegno durante la tavola rotonda moderata da Edoardo Ales del Giornale di Diritto del lavoro e delle Relazioni Industriali che ha visto la partecipazione dei vari rappresentanti delle parti sociali tra cui Pierangelo Albini di Confindustria, Gianna Fracassi della CGIL, Gigi Petteni della CISL e Gugliemo Loy della UIL. Nel corso del dibattito si è affrontata la situazione dell’Italia rispetto al tema del salario minimo sottolineando la specificità del nostro Paese rispetto al conteso europeo e ponendo sul tavolo i nodi da sciogliere per poter pensare di introdurre questo istituto secondo le indicazioni comunitarie.